giovedì 27 marzo 2014

UNA DEMOCRAZIA SOSPESA SOTTO L'OCCHIO ATLANTICO



Per cortese concessione dell'autore Andrea Fais di EURAFRASIA Alla (ri)scoperta del Mondo Antico

 

Una democrazia sospesa sotto l’occhio atlantico. “Stare dietro” il caso italiano


Il seguente elaborato è stato originariamente pubblicato in lingua inglese alle pagg. 42-49 del num. 1/2014 della rivista russa di analisi internazionale Journal of Eurasian Affairs.
E’ per tanto vietata ogni sua riproduzione parziale o integrale da parte di altri senza autorizzazione.

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Andrea Fais

Dalla fine della Seconda Guerra Mondiale l’Italia è diventata la terra dei complotti. Un’enorme massa di indagini, libri, reportage e articoli ha prodotto dibattiti infiniti in relazione alle strutture militari, alle connessioni tra i potentati economici nazionali e i gruppi di pressione stranieri, alle origini delle organizzazioni criminali e delle cellule del terrorismo politico. Durante la Guerra Fredda l’Italia fu certamente il Paese più instabile e inquieto dell’Occidente: una democrazia formale caratterizzata da frequenti crisi politiche, violenza, paura sociale e manipolazione dei mezzi d’informazione. In base alle ricostruzioni dei principali storici, questa particolare situazione fu dovuta alle cosiddette tre eccezioni italiane:
1. Il considerevole divario tra il Nord e il Sud dell’Italia
Il regno d’Italia nacque relativamente tardi nel 1861 come espansione dei Savoia, impiantati a Torino, nel resto del Paese. Prima dell’emersione della dittatura fascista nel 1924, la concreta unificazione del Paese era stata molto difficile da realizzare. Per lungo tempo l’industrializzazione e la modernizzazione furono fattori sconosciuti al Sud, dove la povertà, il sottosviluppo e la criminalità rimasero drammaticamente intatti, determinando conseguenze politiche ed economiche molto negative fino ai giorni nostri.
2. La presenza del più grande partito comunista dell’Occidente
Il Partito Comunista Italiano (PCI) nacque a seguito della scissione del 1921 dal Partito Socialista Italiano. Fu bandito dal regime fascista ma dopo la guerra divenne rapidamente il secondo partito politico nel Paese grazie al sostegno della classe operaia del Nord e dei milioni di contadini stanziati in tutta Italia. Dopo la sconfitta delle componenti anti-sovietiche interne (Amadeo Bordiga e i suoi seguaci), sotto la linea-guida di Palmiro Togliatti il partito diventò totalmente fedele all’Unione Sovietica sino ai primi anni Settanta. L’ascesa di Enrico Berlinguer alla segreteria generale nel 1973 produsse un significativo cambiamento nell’orientamento internazionale del partito, spostandolo verso l’eurocomunismo.
3. La posizione geografica dell’Italia nel Mar Mediterraneo
Il territorio italiano si estende lungo il Mediterraneo da Nord a Sud per una fascia costiera complessiva di 7.456 km. La Sardegna e la Sicilia si affacciano direttamente sul Nord Africa e parte del Medio Oriente. Questo rilevante potenziale strategico fu immediatamente sfruttato dall’esercito statunitense che fece costruire più di 100 tra basi e installazioni militari dal 1949 al 1990.
Un anno dopo la sconfitta militare fascista e l’esecuzione di Benito Mussolini, la monarchia italiana fu battuta in un referendum popolare[1]. In ogni caso la nuova repubblica era debole ed instabile, priva di una costituzione democratica (pubblicata soltanto nel 1948) e costruita sul compromesso tra i partiti che avevano combattuto in veste di partigiani contro il fascismo durante la seconda parte della guerra (Resistenza). C’erano comunisti, cattolici, socialisti, liberali e conservatori, soprattutto dall’esercito. Il parito principale e più popolare era la Democrazia Cristiana (DC), legata al Vaticano, che rappresentava le classi medio-alte del settore industriale e le classi medie del Sud, spaventate dalla politica economica e dall’ateismo del Partito Comunista. Tuttavia, il PCI non fu mai violentemente ateo e i suoi leader preferirono mantenere i propri obiettivi sulle questioni economiche ed estere: la riforma agricola per dare la terra ai contadini, la nazionalizzazione delle grandi aziende e dei settori strategici e il boicottaggio della NATO.
Durante la guerra un altro fattore aveva contribuito ad ampliare il divario tra Nord e Sud: l’antifascismo. Dopo essere stato tradito dai suoi ufficiali nel luglio 1943 e arrestato dalla polizia regia, Mussolini scappò dalla prigionia con l’aiuto tedesco e fondò un nuovo stato repubblicano nel Nord Italia, la cosiddetta Repubblica Sociale Italiana, sostenuta dalla Germania nazista e dai suoi alleati. Così, dopo la nascita della resistenza antifascista, principalmente guidata dalle brigate comuniste, la guerra divenne estremamente ostica al Nord con massacri e rappresaglie. Al contrario il Sud Italia si trovò completamente sotto il controllo della monarchia e delle truppe anglo-americane.
L’Italia era divisa in due parti attraverso la Linea Gustav stabilita dall’esercito tedesco dopo lo sbarco alleato a Salerno nel settembre 1943. A differenza del Nord, il Sud della Penisola non conobbe mai una resistenza antifascista popolare e si trasformò rapidamente in un cavallo di troia per la propaganda anticomunista e antisovietica, creando una forte connessione tra il cattolicesimo politico, i latifondisti locali, le organizzazioni malavitose e l’intelligence statunitense. In particolare la Sicilia divenne un luogo di scontro tra i comunisti e i democristiani.
Quest’isola italiana fu profondamente strategica per l’esercito statunitense durante le operazioni militari contro la Germania in Europa e la connessione tra le famiglie mafiose americane e i loro parenti in Sicilia fu determinante per aiutare le truppe alleate a sbarcare in Italia[2]. Anche dopo la guerra, il clima politico locale fu pesantemente condizionato da questa situazione. È opinione comune in Italia che il massacro di Portella della Ginestra, una piccola città vicino Palermo, abbia segnato l’inizio della Strategia della Tensione. Alcuni banditi assoldati dalla mafia, dai proprietari terrieri e dai politici conservatori aprirono il fuoco contro gli operai e i contadini durante la celebrazione della Festa dei lavoratori. Più di quindici persone furono uccise e circa sessantacinque ferite. Era il Primo maggio 1947. Alcune settimane prima il presidente del Consiglio provvisorio italiano, il democristiano Alcide De Gasperi, era stato invitato dal governo degli Stati Uniti a Washington per discutere del Piano Marshall e della “situazione straordinaria” italiana, cioè della presenza dei partiti di sinistra (socialisti e comunisti) all’interno del suo governo pro-tempore. La strage siciliana di Portella della Ginestra fissò una svolta. La cooperazione antifascista repubblicana tra i diversi partiti era finita e la “Guerra fredda italiana” era pronta per cominciare.
DAL PIANO MARSHALL ALLA FONDAZIONE DELLA NATO
Quando Franklin Roosevelt espose il suo famoso discorso sulle Quattro Libertà nel 1941, l’Italia era alleata della Germania e del Giappone, ed impegnata in guerra contro la Gran Bretagna e la Francia. Il Patto d’Acciaio sembrava invincibile e la guerra-lampo condotta dalle divisioni corazzate naziste stava estendendo l’egemonia di Hitler in Europa e preparando segretamente un piano per invadere l’Unione Sovietica. Due anni dopo, a seguito della Battaglia di Stalingrado, la situazizone cambiò radicalmente e la Germania pagò il prezzo delle sue aggressioni con una catastrofe. In ogni caso l’implosione della Germania hitleriana non rappresentò soltanto il fallimento di un uomo o di un Paese ma di tutta l’Europa, incapace di trovare una pacifica unità dopo un secolo di tentativi (Concerto Europeo) e una guerra devastante come la Prima Guerra Mondiale. Partendo da questa realtà oggettiva, il Piano Marshall pensato dall’establishment di Harry Truman recuperava lo spirito dell’idea di Roosevelt con la volontà di estenderla all’Europa. In Italia la libertà di confessione e la libertà dal bisogno furono progressivamente assicurate nonostante le enormi difficoltà iniziali, ma sfortunamente è impossibile dire lo stesso della libertà dalla paura e della libertà di espressione.
Le prime elezioni politiche italiane a suffragio universale avvennero il 18 aprile 1948. L’egemonia politica della Democrazia Cristiana fu sfidata dal Fronte Popolare Democratico, composto dal Partito Comunista e dal Partito Socialista. Il partito cattolico vinse col 48% dei voti totali mentre il consenso del Fronte Popolare fu contenuto entro il 30,9%, principalmente a causa della scissione delle ali socialdemocratiche di Saragat e Lombardo dal PSI alla fine del 1947.
Alcuni documenti, desecretati dalla CIA nel 1992 e nel 1993, hanno dimostrato l’interferenza statunitense in quelle prime elezioni nazionali. Stando a questi rapporti, Washington era preoccupata dal cosiddetto “pericolo rosso”, per difendersi dal quale «prese in considerazione la possibilità di manipolare il processo elettorale del 1948 e persino di sospendere lo spoglio delle schede con la forza»[3]. La preesisente connessione tra le gerarchie vaticane e la diplomazia statunitense aiutarono la Democrazia Cristiana a stabilire buone relazioni con la Casa Bianca. La dottrina di Harry Truman assegnava la massima importanza alla difesa della regione del Mediterraneo da qualunque possibile interferenza sovietica: Italia, Francia, Grecia e Turchia erano i Paesi più attentamente “osservati” a quel tempo.
Nell’estate del 1948 il clima politico era diventato molto pericoloso soprattutto a seguito dell’avvio degli accordi con Washington iniziati dal governo De Gasperi. Il leader comunista Palmiro Togliatti era assolutamente intenzionalto ad utilizzare sia i mezzi parlamentari che quelli popolari per boicottare i processi di integrazione atlantica del Paese. L’opposizione comunista al Piano Marshall e alla NATO aveva già fatto infuriare il Dipartimento di Stato americano al punto che l’Italia cominciò rapidamente a dividersi in due grandi fronti, così come il resto del mondo. La Guerra Fredda italiana emerse immediatamente come un conflitto all’interno di un altro conflitto più esteso. Soltanto tre anni dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale la tensione e l’odio tornavano nuovamente come nubi oscure sui cieli italiani. Il 14 luglio 1948 Togliatti rimase vittima di tentato omicidio: un giovane studente siciliano di orientamento liberale, Antonio Pallante, sparò al leader comunista italiano nei pressi di Montecitorio (sede della Camera dei Deputati), a Roma. Alcune ore dopo, violente rivolte esplosero a Roma, Milano, Genova, Torino, Firenze e molte altre città italiane. Centrali di polizia, sedi democristiane e redazioni di giornali cattolici e di destra furono assaltate da migliaia di militanti comunisti. In quei giorni l’Italia stava per sprofondare in un’altra guerra civile. Pallante fu arrestato dalla polizia e condannato a tredici anni di reclusione in primo grado, ridotti a sette anni in secondo grado, scontati a meno di sei anni dalla Corte di Cassazione, poi completamente annullati dall’amnistia generale del 1953. L’attentatore non si è mai pentito del suo gesto e ha sempre confermato di aver fatto la «cosa giusta», perché dal suo punto di vista «la morte di Togliatti avrebbe salvato l’Italia dal comunismo»[4].
Nel 1949 la situazione politica italiana era ancora pericolosa. I comunisti e i socialisti erano determinati a creare un’enorme consenso popolare attorno alla propria piattaforma di politica estera, sperando di coinvolgere non solo i loro attivisti ed elettori ma anche alcuni sostenitori provenienti dall’associazionismo popolare cattolico, dall’esercito e dai vecchi ambienti della sinistra fascista guidati da Giuseppe Landi e Stanis Ruinas[5] in opposizione all’integrazione atlantica. Il 20 febbraio 1949 Pio XII decise di intervenire con un discorso pubblico a Piazza San Pietro, ricorrendo a tutta la sua autorità morale e al suo carisma sulla popolazione italiana per convincere i cittadini dell’importanza della NATO al fine di prevenire una possibile invasione sovietica. Il dibattito politico parlamentare fu molto duro sin dalle prima battute. Pietro Nenni, leader del Partito Socialista, nel corso del suo intervento disse: «Il Patto Atlantico distrugge il sistema della sicurezza collettiva, ha un netto significato offensivo contro il paese che sei anni fa a Stalingrado, difendendo sé stesso, difendeva tutta l’Europa e tutto il mondo, e dava un nuovo corso alla storia del mondo [...] Questo Patto compromette irrimediabilmente la nostra sicurezza e la nostra indipendenza»[6].
Il 18 marzo 1949 le due Camere del Parlamento italiano annunciarono la votazione finale sull’ingresso dell’Italia nel Patto Atlantico: 342 voti a favore, 170 voti contro e 19 astenuti alla Camera dei Deputati; 183 voti a favore, 112 contro e 8 astenuti al Senato della Repubblica.
 

LA SANTA CROCIATA CONTRO LA RUSSIA
Se gli Stati Uniti e la Gran Bretagna hanno spesso accusato lo zarismo russo in quanto autocrazia illiberale o il bolscevismo russo in quanto regime dittatoriale, il pregiudizio anti-russo in Europa centrale e meridionale era anzitutto fondato sulle vecchie dispute religiose e territoriali. L’influenza cattolica in Italia, Spagna, Francia, Portogallo, Austria, Polonia, Cecoslovacchia, Ungheria e buona parte della Germania hanno storicamente favorito la diffusione di sentimenti anti-ortodossi. Lo Scisma Latino (1054) ha definitivamente diviso la cristianità europea in due parti contrapposte. Sin da quei tempi qualunque idea di riconciliazione divenne impossibile ed inaccettabile. Un secolo dopo, la pressione cattolica sui territori ortodossi diventò ancora più forte: l’assedio di Costantinopoli (1204) e l’invasione teutonica di Novgorod (1242) mostrarono il vero volto dell’imperialismo vaticano, finalizzato alla conversione delle popolazioni orientali al rito latino.
Nella Germania nazista questo antico odio religioso ereditato dal Sacro Romano Impero, incontrò la questione razziale e la concezione sciovinista ottocentesca in base a cui i popoli slavi sarebbero etnicamente inferiori rispetto agli europei occidentali. Ovviamente tutto ciò è storicamente falso, poiché:
- Gli slavi appartengono completamente alla famiglia etno-linguistica indoeuropea così come i tedeschi
- La prima forma di civiltà russa (la Rus’ di Kiev) nacque a seguito della fusione tra alcuni normanni scandinavi (i Variaghi) e le tribù indigene slave, che diede origine alla Dinastia Rurik
- Gli imperi centrali a guida germanica – la Prussia e l’Austria – hanno raggiunto il loro più elevato prestigio dopo aver integrato popolazioni slave quali i polacchi, i cechi, gli slovacchi, i casciubi, gli sloveni e i croati.
Tuttavia l’imperialismo fascista europeo richiedeva una visione geopolitica che giustificasse la sua missione in Oriente e il Vaticano giocò un ruolo determinante in questa operazione. Il 12 luglio 1941 il ministro degli Esteri tedesco Von Ribbentropp scrisse un documento segreto intitolato Rapporto sull’attività del Papa. Questo scritto contiene un diverbio tra il rappresentante degli Stati Uniti in Vaticano, Harold Tittman, ed Eugenio Pacelli, cioè Papa Pio XII. Pacelli disse: «Gli Stati Uniti dovrebbero capire il punto di vista del Vaticano. La guerra russo-tedesca sta per cominciare. Il Vaticano farà tutto il possibile per accelerare questo conflitto e convincere Hitler ad andare avanti, con la promessa del sostegno morale. La Germania dovrebbe sconfiggere la Russia ma alla fine sarà talmente indebolita che gli Stati Uniti e l’Inghilterra potrebbero approcciarsi alla Germania in modo completamente diverso»[7].
Dunque la Chiesa Cattolica sostenne la Germania nazista con un duplice scopo: da un lato il Papa sperava che il bolscevismo fosse annientato, dall’altro riteneva che la guerra potesse indebolire il Terzo Reich a tal punto da costringere la Germania ad un compromesso con le potenze occidentali. Un altro documento segreto tedesco, inviato dal diplomatico Von Bargen il 23 febbraio 1943 (tre settimane dopo la fine della battaglia di Stalingrado), annotava che «il Papa era deluso dagli sforzi militari russi e dal possibile tracollo tedesco che avrebbe spianato la strada al bolscevismo in Europa»[8]. Durante la Seconda Guerra Mondiale, il Vaticano vedeva il bolscevismo come il peggior pericolo e la Russia come il suo primo obiettivo. Anche la strategia vaticana nei Balcani ha mostrato il volto più orribile e aggressivo dei cattolici, oltrepassando ogni possibile comprensione. Dopo aver assistito ai crimini dell’esercito croato di Pavelic ai danni dei serbi, persino alcuni generali nazi-fascisti rimasero scioccati dagli orrori compiuti dagli estremisti ustasha[9], mentre i preti cattolici «erano fieri di aver preso parte a questa battaglia per la purezza della terra croata»[10]. Pio XII non esitò a sostenere il regime di Ante Pavelic e l’arcivescovato del cardinal Stepinac. Allo stesso modo mostrava uguali brutalità e intransigenza contro un Paese così lontanto come la Russia. Perché?
- I cattolici credevano che il marxismo-leninismo potesse promuovere l’ateismo e la propaganda anti-religiosa in tutta Europa, distruggendo il potere del Vaticano e la sua influenza morale e politica in Asia, Africa e America Latina
- Stalin era determinato a fare dell’Unione Sovietica una super-potenza come unica via per imporre il suo ruolo di patria del socialismo internazionale, in base alle tendenze emerse durante la Terza Internazionale e all’interno della pubblicazione della sua dottrina del Socialismo in un solo Paese.
- La Rivoluzione d’Ottobre e il drastico cambio di regime avevano dato al Vaticano la ghiotta opportunità di sfruttare una situazione di “vuoto” spirituale e tradizionale per tentare la penetrazione culturale in Russia attraverso la promozione dell’uniatismo, un obiettivo dichiarato sin dal 1929 quando Pio XI fondò il Collegio Russicum[11].
La Russia era storicamente la “terra proibita” che le armate cristiane d’Occidente, sia cattoliche sia protestanti, non avevano mai potuto conquistare e sconfiggere. A partire dalla ristrutturazione di Mosca come nuova Costantinopoli, stabilita da Ivan III nel 1453, la Chiesa Latina fu spesso preoccupata dall’espansione dell’Impero Russo. Dopo gli accordi tra Stalin e i metropoliti ortodossi nel settembre del 1943, la decisione del Cremlino non fu semplicemente tattica ma anche una chiara scelta politica di considerare il potere sovietico come un’espressione della civiltà russo-slava. In una nota pubblicata l’8 settembre 1943, Stalin scrisse: «Sin dai tempi più antichi, il popolo russo è stato pervaso da un sentimento religioso. Dopo l’inizio delle operazioni militari contro la Germania, la Chiesa si è mostrata nella sua luce migliore […] Il nostro partito non può più privare il popolo delle sue chiese e della libertà di culto»[12].
La storia personale di Pio XII ancora divide l’opinione pubblica italiana. Una larga fetta dei politici di sinistra ha sempre considerato questo papa come un alleato della Germania nazista, responsabile del genocidio degli ebrei. Tuttavia il concetto occidentale di Olocausto evita di menzionare che più di 30 milioni di slavi, di diverse nazionalità, persero la vita durante la Seconda Guerra Mondiale, pari approssimativamente al 42,36% delle vittime totali. Tutto ciò dimostra che la teoria razziale nazista di Alfred Rosenberg e il pregiudizio religioso anti-ortodosso dei cattolici furono probabilmente ancora più determinanti dell’anti-comunismo e dell’anti-semitismo. La Democrazia Cristiana e gli altri piccoli partiti di destra come il Partito Liberale, il Partito Repubblicano e il partito populista de L’Uomo Qualunque utilizzarono la loro propaganda per descrivere i comunisti come “servi di una potenza straniera” attraverso manifesti d’impatto che raffiguravano soldati sovietici nelle vesti di mostri malvagi e i comunisti italiani come pericolosi nemici della libertà e dell’indipendenza.
I cattolici furono abili a sfruttare la loro posizione dominante nella società per imbastire una nuova forma di nazionalismo, molto diversa dalla vecchia versione fanatica del fascismo ma parimenti contrassegnata da una forte componente ideologica anti-comunista proprio come gli Stati Uniti volevano. Questo nazionalismo temperato fu costruito sull’idea di una società liberale, conservatrice ed essenzialmente occidentale, ispirata al modello capitalista fordiano americano parzialmente mitigato dalla riconsiderazione della dottrina sociale della Chiesa[13]. I dirigenti della Democrazia Cristiana presentavano il loro partito come difensore della proprietà privata, garante della libertà di iniziativa e unico possibile artefice della prosperità sociale. In realtà questo partito era profondamente legato ai settori strategici industriali pubblici ereditati dall’epoca fascista e fu spesso coinvolto in rapporti con le famiglie mafiose del Sud Italia. Le contraddizioni emersero nel momento in cui si tentò di ricreare il modello nord-americano in un Paese come l’Italia, con una storia sociale ed economica totalmente diversa da quella degli Stati Uniti.
«SILENDO LIBERTATEM SERVO», I GLADIATORI AMERICANI
Una simile versione italiana dell’ideologia della Società dell’Abbondanza contribuì ad inviare al popolo italiano un messaggio di fiducia da Occidente e a sottolineare l’artificiale marchio internazionale delle Forze Armate degli Stati Uniti quali “Esercito della Libertà”. Nel pomeriggio del 17 marzo 1949, il governo nord-americano pubblicò l’intero testo ufficiale del Trattato Nord-Atlantico: in particolare l’articolo 5[14] garantiva ai governi europei alleati le intenzioni pacifiche e cooperative di Washington. In base a questa lettura l’internazionalismo nord-atlantico era finalizzato alla pace, alla libertà e alla cooperazione tra le diverse forme di nazionalismo democratico. Questa propaganda era stata chiaramente creata non soltanto per convincere l’opinione pubblica in generale ma anche per attrarre e coinvolgere alcuni settori militari ancora ideologicamente afferenti al nazionalismo reazionario emerso nei vecchi ambienti della destra fascista.
Questo fu il retroterra a partire dal quale la NATO pianificò la cosiddetta operazione Stay-Behind. Stay-Behind era una rete d’intelligence sotto copertura composta da professionisti civili e militari, sotto il comando dello SHAPE (Supreme Headquarters Allied Powers in Europe) della NATO in Europa occidentale. Queste forze segrete erano state create per prevenire un’invasione sovietica ed organizzare la guerriglia contro l’Armata Rossa prima che gli Stati Uniti intervenissero, in caso di invasione. Tuttavia questi compiti ufficiali venivano definiti in modo arbitrario al punto che includevano anche il sabotaggio e le azioni intimidatorie nei confronti dei comunisti e dei socialisti filo-sovietici. L’anno in cui Stay-Behind fu ufficialmente attivata in Italia con il nome in codice “Gladio” è comunemente ritenuto essere il 1964. Eppure, dopo diversi anni di indagini condotte dal magistrato italiano Felice Casson negli anni Ottanta e la pubblicazione del rapporto del presidente del Consiglio Giulio Andreotti all’inizio del 1991, è possibile giungere a conclusioni attendibili.
 

Una considerevole rete atlantica era già stata imbastita dall’intelligence statunitense durante la Seconda Guerra Mondiale. Nel Nord Italia svariati dirigenti delle brigate partigiane antifasciste, come il “rosso” Giuseppe Gozzer (Brigate Garibaldi) e il “bianco” Giuliano Dell’Antonio (Brigate Osoppo), erano legati all’OSS (Office of Strategic Service) americano e al SOE (Special Operations Executive) britannico. Questa cooperazione militare era finalizzata alla creazione di una struttura efficiente capace di agire dietro le linee nemiche e rappresentava il retroterra tattico-operativo sul quale la Gladio fu edificata. La presenza dell’ex partigiano “bianco” Giuliano Dell’Antonio nella lista dei membri di Gladio pubblicata da Andreotti nel 1991[15], ne è una chiara dimostrazione.
In base al rapporto parlamentare ufficiale su Gladio, pubblicato dal presidente del Consiglio Giulio Andreotti il 24 dicembre 1990 e inviato al presidente della Repubblica il 26 febbraio 1991, «il 26 novembre 1956 veniva conclusa dal SIFAR (forze speciali italiane, nda) e dal Servizio americano un’intesa di reciproca collaborazione relativa alla organizzazione ed alla attività del complesso clandestino post-occupazione comunemente denominato “Stay-Behind” (stare indietro), il quale prevedeva la costituzione di reti di resistenza addestrate ad operare, in caso di occupazione nemica del territorio, nei seguenti campi: raccolta delle informazioni, sabotaggio, guerriglia, propaganda ed esfiltrazione»[16]. Le forze speciali italiane (SIFAR) e lo SHAPE siglarono un’intesa di cooperazione nel giugno del 1959[17].
Fino alla fine del 1990 il popolo italiano non ha mai saputo nulla di Stay-Behind o Gladio e la struttura militare rimase assolutamente segreta per quasi quaranta anni. Eppure i primi sospetti cominciarono ad emergere nel 1972, dopo un attentato terroristico contro tre agenti di polizia italiani. La sera del 31 maggio 1972 una stazione locale dei Carabinieri ricevette una telefonata che riportava la presenza di un auto sospetta nella piccola cittadina di Peteano di Sagrado, vicino Gorizia, nel Friuli Venezia-Giulia. Cinque agenti andarono a controllare quella piccola vettura ma quando uno di loro aprì il bagagliaio, un’enorme esplosione uccise tre agenti e ne ferì gravemente altri due.
Tre anni prima, l’Italia era già stata sconvolta da un attentato in Piazza Fontana, nel cuore di Milano. Fu il primo di una lunga e drammatica serie di atti terroristici di matrice politica, proseguita sino ai primi anni Ottanta. La strage di Peteano resta tutt’oggi uno dei più orribili momenti durante quella decade nera ma, in un certo senso, fu anche estremamente importante per generare dei dubbi in relazione all’esistenza di un esercito segreto parallelo all’interno dell’esercito ufficiale. All’inizio delle indagini gli inquirenti sostennero fortemente la responsabilità di Lotta Continua, un’organizzazione di estrema sinistra, ma poco dopo questa ipotesi perse la sua consistenza. Molti elementi inducevano a supporre che dietro l’attentato di Peteano vi fossero degli estremisti di destra ma gli investigatori preferirono seguire la pista della criminalità locale. Dopo dodici anni di errori (e probabilmente di strisciante depistaggio), nel 1984 il terrorista di estrema destra Vincenzo Vinciguerra, membro dell’organizzazione neofascista clandestina Ordine Nuovo, recluso dal 1979 per un altro attentato, decise di confessare spontanemente la sua responsabilità nel massacro di Peteano. Davanti ai giudici, Vinciguerra disse: «Mi assumo la responsabilità piena, completa e totale dell’ideazione, dell’organizzazione e dell’esecuzione materiale dell’attentato di Peteano, che si inquadra in una logica di rottura con la strategia che veniva allora seguita da forze che ritenevo rivoluzionarie, cosiddette di destra, e che invece seguivano una strategia dettata da centri di potere nazionali e internazionali collocati ai vertici dello Stato [...] Il fine politico che attraverso le stragi si è tentato di raggiungere è molto chiaro: attraverso gravi provocazioni innescare una risposta popolare di rabbia da utilizzare poi per una successiva repressione. In ultima analisi il fine massimo era quello di giungere alla promulgazione di leggi eccezionali o alla dichiarazione dello stato d’emergenza. In tal modo si sarebbe realizzata quell’operazione di rafforzamento del potere che di volta in volta sentiva vacillare il proprio dominio»[18].
Vinciguerra fu condannato con il suo ex socio Carlo Cicuttini, mentre il terzo uomo, Ivan Boccaccio, era già morto in uno scontro a fuoco con la polizia nell’ottobre del 1972, alcuni mesi dopo l’attentato di Peteano. Vinciguerra non ha mai chiesto riduzioni di pena o privilegi in cambio della sua confessione, proprio per dimostrare la sua sincera volontà di far emergere la verità storica. In un’intervista per il quotidiano britannico The Guardian nel 1990, Vinciguerra affermò: «La linea terroristica è stata seguita da persone camuffate, persone appartenenti all’apparato di sicurezza, o legate all’apparato statale attraverso rapporti o collaborazioni. Affermo che ogni singolo episodio che seguì al 1969 è inserito in un’unica matrice organizzativa… Avanguardia Nazionale, come Ordine Nuovo (il principale gruppo terroristico di estrema destra attivo durante gli anni Settanta), venivano mobilitati nella battaglia come parte di un strategia anti-comunista che si originava non da organizzazioni deviate rispetto alle istituzioni politiche, ma dal di dentro dello Stato stesso, e in particolare nell’ambito dei rapporti tra lo Stato e l’Alleanza atlantica»[19]. Più nel dettaglio, Vinciguerra spiegò: «Con la strage di Peteano, e con tutte quelle che seguirono, dovrebbe ormai essere chiaro che esisteva una vera e propria struttura viva, occulta e nascosta, con la capacità di imprimere una direzione strategica agli eventi… [questa] si trovava all’interno dello Stato stesso… è esistita in Italia una forza segreta parallela alle forze armate, composta da civili e militari, in funzione anti-sovietica, che aveva il compito di organizzare una resistenza sul suolo italiano contro l’esercito russo… un’organizzazione segreta, una super-organizzazione formata da una connessione tra comunicazione, armi ed esplosivi, e da uomini addestrati ad usarli… una super-organizzazione che, in mancanza di un’invasione militare sovietica che non è mai avvenuta, ha avuto il compito, per conto della NATO, di impedire una virata a sinistra dell’equilibrio politico del Paese. Questo è stato fatto con l’ausilio dei servizi segreti ufficiali e delle forze politiche e militari»[20].
 

Queste confessioni sconvolgenti aprirono una nuova era nella storia italiana e contribuirono significativamente a stracciare il velo steso sopra decadi di attentati terroristici spesso rimasti impuniti. La connessione Gladio-terrorismo fu di fatto negata dai giudici della Procura della Repubblica di Roma nel 2001 quando decisero di assolvere l’ammiraglio Fulvio Martini, ex direttore dei servizi segreti militari italiani (SISMI), il generale Paolo Inzerilli, ex capo di stato maggiore, e Giovanni Invernizzi, ex direttore della 7a divisione del SISMI, precedentemente accusati di aver mentito riguardo i possibili legami tra la rete italiana Stay-Behind e la criminalità politica organizzata. Ad ogni modo questa sentenza ha stabilito soltanto che i tre ufficiali accusati dissero la verità in relazione a quello che loro sapevano, non in generale, e non chiarisce tre questioni fondamentali:
- La storia del movimento di estrema destra Ordine Nuovo comincia nel 1956 quando fu creato, sotto la forma di una associazione culturale, da Pino Rauti. Nel 1969 Rauti decise di tornare nel partito neo-fascista italiano ufficiale del Movimento Sociale Italiano (MSI), ma qualcuno dei suoi camerati non approvò questa scelta, ritenendo il MSI un partito corrotto e borghese che aveva tradito la cosiddetta “Terza-Posizione”. Dopo questa scissione, Ordine Nuovo diventò ufficialmente un gruppo militante pericolosamente contiguo al terrorismo politico. Vincenzo Vinciguerra era il leader di Ordine Nuovo nel Friuli Venezia-Giulia dal 1969. Durante la Guerra fredda, i generali dello SHAPE della NATO consideravano questa regione molto importante dal punto di vista strategico poiché confinava con l’Austria e con la Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia. Malgrado Tito avesse rotto i rapporti con l’Unione Sovietica nel 1948 e la Jugoslavia avesse fatto ingresso nell’alleanza dei Paesi non-allineati, il confine nord-orientale italiano era comunque considerato la “linea del fronte”: prima di tutto, l’Austria era neutrale e confinava direttamente con i Paesi del Patto di Varsavia; in secondo luogo, gli scontri etnici con I partigiani jugoslavi durante la Seconda Guerra Mondiale generarono un profondo sentimento anti-comunista tra la comunità locale capace di unire militari e civili, ex fascisti e liberali, nazionalisti e cattolici; in terzo luogo, la Jugoslavia era, dopo tutto, un Paese comunista.
- In base alla lista ufficiale dei membri della Gladio pubblicata da Andreotti nel 1991, lo SHAPE dislocò 251 agenti in Friuli Venezia-Giulia, il più ampio numero tra tutte le regioni italiane (98 in Lombardia, 25 nel Lazio, 51 in Veneto, 45 in Piemonte, 50 in Sardegna e così via). Vinciguerra e i suoi camerati avevano la concreta possibilità di entrare in contatto con uno o più di loro.
- Stando al rapporto di Andreotti, sin dal 1959 l’intelligence statunitense cominciò ad inviare al CAG (Centro Addestramento Guastatori) materiali operativi «destinati a costituire le scorte di prima dotazione dei nuclei e delle unità di pronto impiego, da occultare, fin dal tempo di pace, in apposti nascondigli interrati nelle varie zone di eventuale operazione»[21]. Questi depositi di armi erano chiamati Nasco e Andreotti scrisse: «I Nasco erano così distribuiti sul territorio nazionale: 100 nel Friuli Venezia-Giulia, 7 in Veneto, 5 in Trentino Alto-Adige, 11 in Lombardia, 7 in Piemonte, 4 in Liguria, 2 in Emilia-Romagna, 1 in Campania e 2 in Puglia […] Il materiale conservato nei Nasco era composto da armi portatili, munizioni, esplosivi, bombe a mano, pugnali, coltelli, fucili di precisione, radio trasmittenti, binocoli ed utensili vari»[22]. Il giudice Felice Casson dimostrò che il materiale esplosivo usato nella strage di Peteano era C4, un tipo di esplosivo utilizzato soltanto dalla NATO a quel tempo. In Friuli Venezia-Giulia c’era un’enorme disponibilità di armi ed esplosivi ma in luoghi conosciuti soltanto da Gladio.
CONCLUSIONI
Dopo la fine della Guerra Fredda, l’Italia rimase una nazione “osservata speciale”. La promessa statunitense riguardo una possibile finlandizzazione dell’Europa fu smentita e persino umiliata dall’enorme aumento delle spese militari e degli investimenti strategici nord-americani in Europa. Gli ultimi venti anni hanno dimostrato ai cittadini europei che la riunificazione della Germania fu un’annessione della parte orientale del Paese alla NATO. Allo stesso modo, tutti gli altri ex alleati di Mosca nel Patto di Varsavia sono stati inglobati da Washington e Bruxelles all’interno dell’Alleanza Atlantica uno dopo l’altro: Ungheria, Repubblica Ceca e Polonia nel 1999, Bulgaria, Romania e Slovacchia nel 2004, Albania nel 2009. Inoltre le tre nuove repubbliche baltiche indipendenti della Lituania, della Lettonia e dell’Estonia, con il suo Cooperative Cyber Defense Centre of Excellence (CCD-COE) della NATO, rappresentano una costante minaccia alla Federazione Russa. Come la crisi siriana ha evidenziato, l’Unione Europea non ha politiche estere e strategiche comuni. Ogni Paese segue un proprio orientamento ma è di fatto solo nella sua scelta all’interno dell’intera unione e, dunque, troppo debole per esprimere una posizione dominante nella regione.
Dopo il 1991, la struttura politica ed economica dell’Italia è significativamente cambiata. Sono state introdotte le liberalizzazioni di importanti settori pubblici e nuovi parametri di libero mercato, il vecchio sistema di garanzia sociale e tutela è stato progressivamente decostruito sino alla recente crisi, cominciata nel 2009 che, nel nome di una rigida austerità, sta distruggendo le condizioni sociali ed economiche dei lavoratori dipendenti, dei commercianti e della piccola e media impresa. Tuttavia, i governi non hanno mai ridotto la spesa militare per le missioni internazionali all’estero e non hanno mai messo in discussione il ruolo dell’Italia nell’ambito della NATO. Il recente scandalo Datagate sta lentamente modificando la percezione della politica statunitense presso l’opinione pubblica italiana ma senza un concreto cambiamento della classe dirigente non ci sarà alcuno spazio per un serio dibattito sul futuro dell’Italia e sulle sue prospettive per un’indipendenza strategica.



Note
1. Il referendum costituzionale italiano si svolse il 2 giugno del 1946 e richiedeva una scelta elettorale diretta a suffragio universale: monarchia o repubblica. Il repubblicanesimo vinse con 12.718.641 voti (54,3%) mentre il monarchismo ottenne soltanto 10.718.502 voti (45,7%). La distribuzione geografica delle preferenze sottolineò la rigida differenza politica presente tra il Nord, dove la tendenza repubblicana era chiaramente dominante, dal Sud, dove la tendenza monarchica conquistò la maggioranza delle preferenze quasi dappertutto.
2. «[…] We should organize and prepare dissident elements to use them as fighters in the active resistance: a) we should establish links with indipendentist militants, with tired workers, with illegal radical groups (for example, mafia) with the aim to give them all necessary support and assistance […]», Special military plan for psychological warfare in Sicily, Tna/Pro – Wo 204/3701, Department of War, Washington DC, 9 aprile 1943.
«[…] But before “Husky Operation” there was a secret prologue, which Michele Pantaleone da Villalba, a historian of mafia, wrote several times about in the past. He had gathered irrefutable witnesses and documents, confirmed by Italian Anti-Mafia Parliamentary Commission on February 4th 1976. In fact this Commission ascertained that a relevant number of US Army emissaries were preemptively sent to Sicily to “psychologically prepare” the island for the landing and to get in touch with members of “Cosa Nostra”. At the same time Kefauver Commission ascertained that lawyer Moses Polakoff, defense attorney of American boss Mayer Lansky, got in touch not just with the latter but even with Sicilian boss Lucky Luciano who was in prison at that time. Luciano has given detailed informations about his native region, Sicily, and put in touch US General Command with the mastermind of Sicilian mafia Don Calogero Vizzini da Villalba, as Michele Pantaleone had already demonstrated […]», R. Lo Cicero, Quando la mafia aurotizzò lo Sbarco in Sicilia degli alleati, Monreale Press, 10 luglio 2013 (tradotto in inglese da versione originale italiana).
3. L. Annunziata, La CIA voleva “truccare” le elezioni del 1948, Corriere della Sera, 25 ottobre 1993.
4. A. Bolzoni, Pallante, l’uomo che vuol farsi dimenticare, La Repubblica, 14 luglio 1998.
5. G. Parlato, La Sinistra Fascista. Storia di un Progetto Mancato, Ed. Il Mulino, Bologna, 2000, pp. 332-341.
6. Leonardo.it, Cronologia, Italia – Anno 1949.
7. G. Casarrubea – M.J. Cereghino, Pio XII: Sotto il cielo (nero) di Roma, 31 ottobre 2010, http://casarrubea.wordpress.com.
8. Ibidem.
9. Worldmark Encyclopedia of the Nations, Europa, 1995, p. 91.
10. The New Encyclopedia Britannica, 1986, Macropedia, Vol. 27, p. 467.
11. Il Collegio Russicum (Pontificium Collegium Russicum Sanctae Theresiae A Iesu Infante) è un istituto cattolico fondato a Roma nel 1929, dedicato allo studio della cultura e della spiritualità russa, che promuove l’unificazione delle Chiese Ortodosse d’Oriente sotto la guida della Chiesa Cattolica Romana.
12. A. Roccucci, Stalin e il patriarca. La Chiesa ortodossa e il potere sovietico, Einaudi, Torino, 2011, pp.
13. Pontifical Council of Justice and Peace, Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, Libreria Editrice Vaticana, Stato del Vaticano, 2009.
14. «The Parties agree that an armed attack against one or more of them in Europe or North America shall be considered an attack against them all and consequently they agree that, if such an armed attack occurs, each of them, in exercise of the right of individual or collective self-defence recognized by Article 51 of the Charter of the United Nations, will assist the Party or Parties so attacked by taking forthwith, individually and in concert with the other Parties, such action as it deems necessary, including the use of armed force, to restore and maintain the security of the North Atlantic area. Any such armed attack and all measures taken as a result thereof shall immediately be reported to the Security Council. Such measures shall be terminated when the Security Council has taken the measures necessary to restore and maintain international peace and security». Trattato Nord-Atlantico, Articolo 5, Washington DC, 4 aprile 1949.
15. On. G. Andreotti, Relazione sulla vicenda «Gladio», Atti Ufficiali Parlamentari, Camera dei Deputati della Repubblica Italiana, Doc. XXVII n. 6, Roma, 26 febbraio 1991, p. 52.
16. Ibidem, p. 12.
17. Ministero della Difesa della Repubblica Italiana, Le “forze speciali” del SIFAR e l’Operazione Gladio (documento desecretato), Servizio Informazioni delle Forze Armate, Comando Generale della Difesa, Roma, 1° giugno 1959.
18. A. Frigerio, La Strage di Peteano, un giallo con trama di matrice nera e…, http://www.storiain.net.
19. Ed Vuillamy, Secret agents, freemasons, fascists . . . and a top-level campaign of political ‘destabilisation’, The Guardian, 5 dicembre 1990.
20. Ibidem.
21. On. G. Andreotti, Relazione sulla vicenda «Gladio», Atti Ufficiali Parlamentari, Camera dei Deputati della Repubblica Italiana, Doc. XXVII n. 6, Roma, 26 febbraio 1991, p. 22.
22. Ibidem, p. 23.

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