martedì 15 marzo 2016

MONARCHIA FEUDALE SAUD (wahhabismo sionista) SARA' UN TRISTE RICORDO DELLA STORIA

Il piano saudita-sionista contro

Hezbollah: intimidazione o realtà?

Amin Hutayt, al-Thawra

plan-saoudo-sioniste

Immediatamente dopo la sconfitta in Libano nel 2000, Israele cercò la risposta per compensare la sconfitta da Hezbollah.
Perciò organizzò la prima “Conferenza di Herzliya” poi seguita da varie azioni ostili nella regione, prima di arrivare alla guerra contro il Libano nel 2006; l’aggressione su cui puntarono i sostenitori del piano statunitense-sionista per avviare la creazione di un Medio Oriente controllato dagli Stati Uniti, dove non ci sarebbe stato spazio per la Resistenza e chi ci pensava [1].
Ma l’eroica lotta di Hezbollah dissipò tali sogni ostili.
Uscì vittoriosa dalla guerra, imponendo le basi per la “deterrenza attiva” assai dolorosa per Israele. Conseguenza di questa vittoria nel 2006 fu il passaggio dei pianificatori dell’occupazione coloniale alla cosiddetta strategia del “soft power” adottata dalla NATO nel 2010 con conseguente incendio catastrofico spacciato dall’occidente come “primavera araba”, in realtà l’innesco statunitense-sionista per annientare l'”Asse della Resistenza” nel caposaldo centrale della Siria.
Ma nonostante la proliferazione di piani e strategie Siria, Asse della Resistenza e di recente Russia hanno creato un nuovo ordine basato su tre osservazioni:
– L’aggressione non può raggiungere i suoi obiettivi, la Syria è riconosciuta una ed indivisibile.
– Il peso militare e strategico dell’Asse della Resistenza è ora più importante di quanto lo fosse cinque anni fa.
– Il tempo gioca a favore della Resistenza, il campo degli aggressori alla Syria non può ottenere oggi più di quello che avrà domani.

Da qui la terribile delusione e frustrazione degli orribili aggressori e dei loro alleati, condannati a scegliere la via per contenere le perdite e infine reagire al momento giusto.
Ciò spiega la dispersione delle posizioni e la discordia dominante nel loro campo, divisa tra realisti e chi rifiuta il fatto compiuto. In quest’ultima categoria rientrano Arabia Saudita e Israele, coperti dagli Stati Uniti, dove il presidente rientra nella categoria dei realisti che puntano a una soluzione politica. L’Arabia Saudita sa che il fallimento in Siria si aggiunge a tutti gli altri nella regione, distruggendone lo spazio strategico vitale e portando inevitabilmente alla perdita della capacità di controllare le decisioni del mondo arabo e musulmano.
Quanto ad Israele, questo fallimento significa la fine del sogno su cui ha lavorato per quindici anni, distruggere Hezbollah e smantellare l’Asse della Resistenza. Questo fallimento in particolare coincide con il rafforzamento militare di Hezbollah, al punto di avere una nuova deterrenza strategica verso Israele, impedendogli di attuare da solo una guerra vittoriosa contro di esso.
Completando il quadro ed esacerbando l’amarezza di ognuno, la questione siriana prende la via della soluzione politica che potrebbe, se applicata da tutte le parti, consacrare ai vincitori i profitti e ai perdenti alcuni doni per compensarne l’amaro fallimento. Un contesto che ha spinto sauditi ed israeliani a cercare d’invertire la situazione e rientrare in campo per compensare le perdite e raggiungere gli obiettivi, in pieno o in parte; da qui l’alleanza israelo-saudita dichiarata pubblicamente, dopo un lungo segreto, senza alcun riguardo per palestinesi, arabi e musulmani; un’alleanza il cui piano potrebbe essere riassunto in quattro punti:
Il primo punto: demonizzazione di Hezbollah e della resistenza per far credere ovunque che siano un pericolo per il mondo e quindi riuscire a creare le condizioni per una coalizione internazionale contro di essi, come quella formata contro lo SIIL. Pertanto, Israele farà parte di tale coalizione, quindi senza sopportare da solo il peso della lotta, sfuggendo alla recente deterrenza strategica impostagli. A tal fine i due alleati di suddividerebbero i compiti.
L’Arabia Saudita lo farà passare per un’organizzazione terroristica con il pretesto che rappresenta “una minaccia alla sicurezza nazionale araba”, iniziando a lavorarci a livello locale, prima di andare al Consiglio di cooperazione del Golfo [GCC] [2] e al Consiglio dei Ministri degli Interni arabi [3]. Dovrebbe continuare il tentativo al vertice arabo ad aprile e poi alle Nazioni Unite.
Quanto a Israele, il suo compito è per lo più a concentrarsi sulla minaccia che Hezbollah pone “alla popolazione civile israeliana e alla stabilità del Medio Oriente” [4], dove le dichiarazioni sulle sue capacità offensive con 41.000 combattenti veterani e 100.000 razzi con gittate da 10 a 350 chilometri.
Il secondo punto: Esplosione della situazione della sicurezza libanese e l’apertura di più fronti contro Hezbollah, assieme al taglio di risorse e rinforzi, crescendo così il tono del discorso politico contro di esso e inviando armi in Libano. Era parte di tale operazione la nave da carico sequestrata in Grecia, inviata dalla Turchia a Tripoli (Libano) con a bordo 6.000 armi da fuoco tra cui sofisticati fucili di precisione e 45 tonnellate di munizioni ed esplosivi [5].
E in qualche modo, la cancellazione del “dono” saudita ad esercito e forze di sicurezza libanesi (3 + 1 miliardi di dollari), fa parte dell’operazione, al fine di privarli dei mezzi necessari per ripristinare la sicurezza dopo una riuscita destabilizzazione. [6]
Il terzo punto: Attivazione della guerra contro Hezbollah dopo la creazione di un’ampia coalizione internazionale simile a quelle degli ultimi tre decenni, da quella creata per liberare il Quwayt da Sadam Husayn alla presunta coalizione, sempre guidata dagli Stati Uniti, contro lo SIIL; l’idea dei pianificatori israelo-sauditi è che tale coalizione affronterebbe Hezbollah con una lunga guerra per esaurirlo fino a sterminarlo.
Il quarto punto: Sabotaggio della soluzione politica in Syria riferendo e presentando condizioni inaccettabili fino alla fine della presidenza di Obama, con la speranza del ritorno dei repubblicani prima dell’applicazione degli accordi. 
Pertanto, quando sarebbe molto più facile discutere il caso siriano e degli altri, tra cui Hezbollah. Da qui l’ostinazione del ministro degli Esteri saudita nel bloccare la soluzione proposta aggrappandosi alla rimozione del presidente siriano.
La fase iniziale del piano, sviluppato dal regime sionista in Israele, è attualmente implementata dall’Arabia Saudita, che utilizza tutta la sua capacità mediatica, finanziaria e politica. Nonostante ciò, escludiamo la possibilità che il piano saudita-sionista abbia successo e vada oltre questa fase, mentre gli sviluppi sul territorio siriano e regionali, così come le carte delle relazioni internazionali e regionali, non ne predicono il successo.
Infatti, basti ricordare i fallimenti successivi del piano saudita in Iraq, Siria, Yemen e Libano, così come il fallimento della coalizione araba, della coalizione islamica e del recente rifiuto di obbedire dei ministri degli Interni dei principali Stati arabi, [7] che dicono come la follia saudita non avrà successo.
Quanto a Israele, può essere considerarlo un vincitore qualunque sia il risultato, dato che avrà solo i benefici dalla “normalizzazione con il mondo arabo” ritrovandosi nella stessa trincea contro Hezbollah, visto come il nemico che lo costringe a spendere l’80% del reddito nazionale per la difesa e la sicurezza.
Ancor più pericoloso è che tale alleanza “saudita-israeliana” può far voltare pagina sulla questione palestinese e portare all’abbandono della Palestina da parte degli arabi, mentre è possibile che Hezbollah prepari per ogni situazione la risposta adatta ad offrire ai propri sostenitori la vittoria meritata.

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Dr. Amin Hutayt è analista politico, esperto di strategia militare e Generale di brigata in pensione libanese.
Traduzione di Alessandro LattanzioSitoAurora

deca

Una coraggiosa reporter saudita documenta l’indicibile


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Sarà il segreto di Pulcinella, ma è lo stesso inquietante.
Ce lo documenta, dalla linea del fronte in Yemen, vicino alla città di Taiz, una coraggiosa reporter della BBC: la saudita (ovviamente, da anni rifugiatasi in Occidente) Safa AlAhmad. 
Che mostra truppe a guida saudita insieme a miliziani di al Qaeda che combattono i partigiani nazionalisti Houti.
E dire che la coalizione di dieci paesi sunniti guidati da Riad – che, dal 26 marzo 2015, bombarda lo Yemen – continua ufficialmente a considerare al Qaeda una “organizzazione terroristica”.
Brava, Safa. Fossero tutti come te i giornalisti.

Francesco Santoianni


deca



Il crollo totale della dittatura

saudita si avvicina velocemente

Joshua Krause, The Daily Sheeple

 saudi

Per l’osservatore casuale, l’Arabia Saudita potrebbe attualmente sembrare una nazione coraggiosa che si va affermando. Sfida l’Iran, lotta contro i ribelli nello Yemen, minaccia d’invadere la Siria, e se certe voci sono credibili, avrebbe cercato missili nucleari dal Pakistan.
Tuttavia, queste non sono le azioni di una nazione stabile che si afferma dominante nella regione. Sono le convulsioni di una nazione che agonizza. Da quando i prezzi mondiali del petrolio sono precipitati, l’Arabia Saudita non è la stessa. Non sorprende che dato che i prezzi sono scesi, altre nazioni petrolifere ne siano colpite.
L’economia russa era alle corde, il Canada precipita nella recessione e il Venezuela è sull’orlo del collasso totale. Tuttavia, probabilmente non c’è una nazione più dipendente dal petrolio dell’Arabia Saudita. Se qualcuno sarà distrutto dai bassi prezzi del petrolio, sono i sauditi. Il nocciolo della questione è che questo Paese è a corto di denaro. Non sembra a prima vista. Solo di recente ha iniziato ad usare le enormi riserve, e il debito in rapporto al PIL è notevolmente basso. Tuttavia, l’emorragia di denaro avviene a un ritmo allarmante.
Inondano il mercato con petrolio a buon mercato per soffocare la concorrenza (una mossa pericolosa per un governo che riceve l’80% delle sue entrate dal petrolio), e combatte diverse costose guerre per procura contro l’Iran, che non vanno così bene. La situazione è talmente disastrosa che il FMI si aspetta sia a corto di denaro entro 5 anni. Per la maggior parte dei Paesi non sarebbe un grosso problema. Ricorrerebbero al debito e continuerebbero fin quando il sistema finanziario non si sbriciola dopo anni.
Ma i sauditi non possono farlo. Il loro governo e la loro società sono strutturati in modo tale che non possono vivere col debito. Il motivo è che non è uno Stato-nazione. “In realtà, l’Arabia Saudita non lo è affatto. Ci sono due modi per descriverla: una società politica con un modello di business intelligente, ma in ultima analisi insostenibile, o è così corrotta da assomigliare a un’organizzazione criminale verticalmente e orizzontalmente integrata.
In entrambi i casi non può durare. E’ da tempo i politici si preparano al crollo del regno saudita. Nelle ultime conversazioni con capi militari e governativi, siamo rimasti sconvolti da quanto sorpresi sembrassero da tale prospettiva. Ecco l’analisi su cui si dovrebbe lavorare. In un certo senso, il re saudita è l’amministratore delegato di un’azienda a conduzione familiare che converte il petrolio in proventi per acquistare lealtà politica.
Prendono due forme: dispense in denaro o concessioni commerciali ai sempre più numerosi rampolli del clan reale, e un minimo di beni pubblici e opportunità di lavoro per la gente comune“.
In sostanza, l’Arabia Saudita si basa sulla corruzione istituzionalizzata. Ha bisogno di contanti immediati per mantenere in riga la popolazione, mantenere la sempre più grande famiglia reale ricca e felice e per assicurarsi che ognuno faccia il suo dovere. Non è come si vede nella maggior parte delle nazioni occidentali, dove gran parte della popolazione ha senso civico.
Questo sistema ha bisogno del denaro, e non può sopravvivere sulle cambiali. Le élite in questa società pretendono una vita lussuosa perpetua e la dispense dal governo sono l’unica cosa che impedisce alle masse oppresse di ribellarsi. Una volta a corto di denaro, tutto cadrà a pezzi. 
Ma la situazione finanziaria non è l’unico problema del regno saudita. Gran parte del budget è stato bruciato per combattere la guerra allo Yemen, che va male. Decine di mercenari della Blackwater sono stati uccisi in un attacco missilistico il mese scorso, i ribelli yemeniti hanno catturato una loro base militare, due settimane fa (nel territorio saudita, tra l’altro), e la settimana scorsa le forze yemenite sono riuscite a catturare oltre un centinaio di soldati sauditi. 
Questo è un regime che governa con la paura e l’oppressione. Come potranno continuare se l’esercito non può battere una rivolta nel proprio cortile. Quando dispense e tangenti finiranno, e con una popolazione stufa e stanca di essere dominata dalla famiglia saudita, quanto tempo credete ci vorrà perché si ribelli?
E soprattutto l’Arabia Saudita affronta una grave crisi idrica. Proprio come in California, è fortemente dipendente dalle falde acquifere sotterranee non rinnovabili, e si usa più acqua per persona di molte nazioni occidentali (in realtà, il doppio della media UE). Saranno a corto di acqua tra meno di 13 anni.
Questo ha portato il regime saudita ad iniziare a tassare l’acqua per la prima volta, in parte per la crisi idrica, e in parte a causa del calo dei proventi del petrolio.
Come si vede, molte minacce esistenziali incombono sull’Arabia Saudita. Le sue guerre per procura contro l’Iran esauriscono le casse così come i proventi del petrolio sono ai minimi storici, la popolazione oppressa è inquieta e non potrà avere risposte alle proprie esigenze dall’élite avida, e affronta un disastro ambientale nazionale che potrebbe imporre una battuta d’arresto totale.
In breve, uno dei più forti alleati degli USA in Medio Oriente e fulcro dei petrodollari, affronta il crollo totale che può accadere entro un decennio. Questo creerebbe il caos in Medio Oriente, e avrebbe enormi conseguenze per l’economia globale.
Ed alla fine, non c’è davvero nulla che si possa fare per impedirlo.

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deca
Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora


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