giovedì 17 novembre 2016

SIGONELLA: la fort Alamo sionamericana, la morte di Craxi e dell'Achille Lauro



Trent’anni fa  il lungo

braccio di ferro di Sigonella


Trent'anni fa si verificava il lungo e duro braccio di ferro fra
Bettino Craxi e Ronald Reagan  sulla vicenda di Sigonella,
un episodio semplicemente impensabile nell'Italia di oggi.....


Sono passati ormai più di trentun’anni da quel 7 ottobre 1985 in cui l’Italia di Bettino Craxi dimostrò al mondo intero di possedere una spina dorsale che in seguito proprio coloro che avrebbero dovuto essere i nostri “migliori alleati” provvedettero accuratamente a spezzare e frantumare, a partire dai fatti del 1992, notoriamente teleguidati dall’estero, con tutto quel che avrebbero comportato nel venticinquennio successivo: un’agonia ancor oggi non conclusasi.
Il 7 ottobre 1985, di lunedì, un commando palestinese sequestrò la nave da crociera Achille Lauro con a bordo 545 passeggeri mentre si trovava in acque egiziane, dirottandola verso la Siria.
Il giorno successivo la nave era già in vista della Siria, ma da Damasco non giunse alcun consenso all’approdo. I dirottatori uccisero così il cittadino americano d’origine ebraica Leon Klinghoffer. La notizia giunse immediatamente in patria, destando grande sensazione. Scattarono immediatamente complesse trattative tra il commando e l’OLP, che ottenne di far rientrare l’Achille Lauro a Port Said, in Egitto, dove gli ostaggi vennero liberati.
Era ormai il 10 ottobre ed il governo statunitense reclamava l’estradizione del commando palestinese alle autorità egiziane. Intervenne così Bettino Craxi, da sempre vicino alla causa palestinese, che avviò trattative con l’OLP affinchè i quattro dirottatori fossero giudicati in Italia. Diritto della navigazione e diritto internazionale alla mano, infatti, una nave è territorio della bandiera che batte e per tale ragione l’assassinio di Leon Klinghoffer doveva considerarsi come avvenuto in Italia.
Nel frattempo, però, Hosni Mubarak aveva già preso la decisione di spedire il commando in Tunisia, dove nei suoi ultimi anni di governo Bourguiba aveva deciso d’ospitare il quartier generale dell’OLP. I quattro dirottatori, due intermediari palestinesi nominati da Arafat, Abu Habbas ed Hani el-Hassan, un ambasciatore egiziano ed alcuni uomini del servizio di sicurezza del Cairo vennero così imbarcati su un aereo di linea appositamente requisito dal governo al quale, tuttavia, Tunisi negò il permesso d’atterrare.
A quel punto l’aereo, ritrovandosi a vagare nei cieli, venne intercettato nel Canale di Sicilia da caccia statunitensi F14. Washington chiese al governo italiano di poterlo far atterrare presso la base NATO di Sigonella, in provincia di Siracusa. Craxi concesse l’autorizzazione: era ormai la mezzanotte di giovedì 10 ottobre.
A mezzanotte e quindici minuti l’aereo atterrò nella base di Sigonella. Ad attenderlo sulla pista, con l’ordine di circondarlo, c’erano i militari italiani: 20 Carabinieri e 30 uomini della Vigilanza Aeronautica Militare (VAM). Sei minuti dopo atterrarono anche due C141 statunitensi. 
Armi in pugno, scesero cinquanta militari della Delta Force guidati dal Generale Steiner, che si diressero verso il Boeing egiziano, ormai fermo sulla pista, circondandolo a loro volta con l’ordine di farsi consegnare l’aereo egiziano e Abu Abbas, identificato come il vero comandante del commando palestinese.
A mezzanotte e quarantacinque minuti Bettino Craxi ordinò all’ammiraglio Fulvio Martini, allora capo del SISMI, d’assumere le operazioni militari per il rispetto della sovranità nazionale italiana. Craxi rivendicava energicamente le proprie ragioni: per il diritto internazionale l’omicidio era come se fosse avvenuto in territorio italiano ed inoltre non esistevano ancora prove che fosse Abu Abbas il vero colpevole.
Mezz’ora più tardi giunsero così a Sigonella dalle vicine caserme di Catania e Siracusa nuovi rinforzi militari italiani che circondano a loro volta gli uomini della Delta Force. Italiani ed americani si ritrovarono disposti in tre cerchi concentrici, con un’autocisterna, una gru e mezzi anti-incendio chiusi a chiave e piantonati dinanzi ai velivoli onde impedire loro di muoversi dalla base ed ivi disposti su ordine della torre di controllo da parte dell'eroico Capitano Marzo.
Seguirono a quel punto minuti d’altissima tensione, nei quali si sfiorò lo scontro tra italiani e statunitensi. Steiner, collegato con gli Stati Uniti in tempo reale grazie ad apparecchiature satellitari, avvertì il colonnello Ercolano Annicchiarico d’essere in contatto con lo Studio Ovale: “Il Governo Italiano ha promesso di consegnarci i palestinesi; non capisco la resistenza di voi militari”. L’ammiraglio Martini si consultò con Roma e fece quindi rispondere a Steiner: “Abbiamo istruzioni di lasciarli lì”. Le autorità italiane, infatti, restavano convinte che in assenza di richiesta d’estradizione non fosse consentito a nessuno di sottrarre alla giustizia italiana persone sospettate d’aver preso parte ad un atto criminale avvenuto in territorio italiano.
Da Washington giunsero immediatamente al governo italiano intimazioni rivolte per via diplomatico-militare, nelle quali la questione viene semplicemente presentata come un’operazione di polizia internazionale in cui poco importavano le diverse priorità imposte dall’ordinamento giuridico italiano. Non avendo ottenuto risposta positiva, il presidente statunitense Reagan, infuriato per il comportamento italiano, telefonò nel cuore della notte a Craxi per chiedegli la consegna dei dirottatori.
Craxi molto semplicemente rispose che, essendo stati i reati commessi in territorio italiano, solo l’Italia avrebbe potuto decidere sull’estradizione.
Alle 5.30 del mattino, quando su ordine di Craxi il generale dei Carabinieri Bisogniero fece intervenire a Sigonella i blindati dell’Arma dei Carabinieri ed altri rinforzi, il reparto d’attacco americano ricevette l’ordine di rientrare.
A quel punto la polizia italiana arrestò i quattro dirottatori.
Nella tarda mattinata l’ammiraglio Martini arrivò a Sigonella per avviare una trattativa con gli egiziani rimasti a bordo dell’aereo. Si decise pertanto di trasferire l’aereo a Ciampino e di scortarlo con aerei da caccia dell’aviazione italiana.
Avvenne proprio qui la penultima sorpresa: alle 21.30 un caccia americano F14 tentò d’interferire con l’aeroconvoglio italiano allo scopo di dirottare il Boeing egiziano, ma senza riuscirvi.
L’ultima sorpresa vi fu invece alle 23.00 quando, atterrato il Boeing a Ciampino, un secondo aereo militare americano dichiarò l’emergenza e chiese l’autorizzazione all’atterraggio immediato, ottenendola. 
Una volta atterrato, si dispose di traverso sulla pista con l’evidente intenzione d’impedire all’aereo egiziano ogni ulteriore manovra. L’ammiraglio Martini comunicò al pilota americano d’avere solo cinque minuti di tempo per liberare la pista, perchè dopo avrebbe ordinato di buttarlo fuori con le ruspe.
Al terzo minuto, constatato anche il fallimento di quest’ultimo disperato e maldestro tentativo americano d’interferire nella sovranità nazionale, il caccia F14 ripartì sconfitto.
Finiva così la lunga notte di Sigonella, un braccio di ferro fra Ronald Reagan e Bettino Craxi decisamente impensabile nell’Italia, penisola di zoombies di oggi..... (l'eroico gesto sovranista di Craxi gli costò poi la vita ....)

Filippo BovoNato a Pisa nel 1983. Direttore Editoriale de l'Opinione Pubblica. Esperto di politica internazionale ed autore di numerosi saggi.

3 COMMENTI

delmiro Ma ve li immaginate Renzi e Mattarella con l’ausilio di Napoletame? Uah,uah,uah,uah,uah,uah…………….




deca


NAPOLI, UN MARITTIMO ACCUSA

'FU DOLOSO IL ROGO DELLA LAURO'

 
NAPOLI - Il Comandante andava orgoglioso di quella nave e volle battezzarla con il suo nome, Achille Lauro. Ora l' ammiraglia della flotta riposa in fondo al mare, al largo del Corno d'Africa, distrutta da un incendio avvenuto il 2 dicembre di un anno fa. Sembrava scontato che fosse un incidente, ora invece si riapre il giallo. Un commissario di bordo accusa: il rogo della nave fu voluto.
L'ufficiale Costantino Miletti, un veterano della flotta, racconta la sua verità: le fiamme che colarono a picco l'Achille Lauro potevano essere domate, ma alcuni ufficiali fecero in modo che il fuoco si propagasse per distruggere il transatlantico, assicurato per 28 miliardi con la compagnia londinese "Lloyd' s Insurance". Una macchinazione, insiste Miletti, un incendio doloso per incassare il premio e licenziare i marittimi. Miletti ha ripetuto la sua versione alla Digos.
Sulla vicenda indaga la Procura della Repubblica.
La Starlauro, la società dell' armatore sorrentino Gianlugi Aponte, passa al contrattacco. Definisce "deliranti, inverosimili e false" le dichiarazioni di Miletti, e lo denuncia per calunnia. "Tutto inventato - si indigna il presidente della Starlauro, Nicola Coccia - ufficiali e marinai agirono con abnegazione, mettendo a repentaglio la vita per spegnere il fuoco e salvare i passeggeri".
Un primo risultato le "rivelazioni" di Miletti lo hanno avuto: i Lloyd' s tarderanno il pagamento dei 28 miliardi, previsto per le prossime settimane. Cosa accadde veramente sull' Achille Lauro, salpata da Genova il 19 novembre ' 94 e diretta in Sudafrica con 974 persone a bordo? Seduto nel salotto di casa sua a Castellammare di Stabia, Miletti ricostruisce così quegli istanti: "All' inizio, con grande sforzo, l' equipaggio riuscì ad avere ragione delle fiamme, il direttore di macchina mi disse che non c' era più pericolo e che l' incendio era stato domato.
Infatti fu dato incarico al cameriere di piscina di risistemare le sdraio per accogliere i passeggeri. Ma dopo 40-50 minuti il fumo iniziò a diventare sempre più intenso e ' nero' . Conversando con un mio amico imbarcato sull'Achille Lauro, l' 'ingrassatore' della sala macchine Francesco Morvillo, sono riuscito a individuare le cause del ritorno di fiamma".
Miletti afferma che le porte della sala macchine, chiuse ermeticamente ai due lati per isolare il fuoco, furono riaperte e l'incendio riprese. Chiamato in causa, il marinaio Morvillo ricorda: "Dopo l'incendio ascoltai il dialogo tra alcuni ufficiali, dicevano che non avrebbero dovuto aprire le porte in sala macchine, ma probabilmente agirono così per la fretta". 
Miletti però aggiunge un altro, episodio: "Quando l'incendio diventò poderoso, si sprigionarono fumo e fiamme anche dalla sala automazione situata sul ponte, il 'cervello' della nave.
Gli ufficiali impedirono l'accesso al marinaio Antonio Scognamiglio, addetto allo spegnimento del fuoco". Raggiunto per telefono sulla nave "Italia" in crociera nel Mediterraneo, Scognamiglio dà un' altra versione: "Al momento dell' incendio ero davanti alla sala automazione e gli ufficiali mi vietarono di entrare. Però si prodigarono con noi per spegnere le fiamme".
Ora indaga la Digos, che ha interrogato decine di testimoni.
di PATRIZIA CAPUA

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